venerdì 19 marzo 2010

Che cosa abbiamo letto finora

Ormai è un mese e mezzo che il gruppo di lettura si riunisce! Potremmo provare a guardare un attimo il percorso fatto fin qui.
Siamo partiti da due autori (Good e Savage) che propongono la teoria classica del comportamento razionale nelle decisione di fronte all'incertezza. Tra i due autori ci sono, è vero, delle differenze su punti specifici. Ma il tipo di approccio rimane lo stesso: entrambi propongono il medesimo standard normativo di razionalità come massimizzazione dell'utilità prevista. Nella teoria proposta da Savage, in particolare, la massimizzazione dell'utilità prevista consegue dall'assunzione che le preferenze dell'agente siano (internamente) coerenti: potremmo parafrasare così, infatti, il significato generale dei postulati con cui Savage dimostra il suo teorema. L'assunzione della coerenza interna comporta molte conseguenze: particolarmente importante è il fatto che, nella valutazione di un'azione, i pesi delle utilità degli esiti debbano essere delle probabilità (Dutchbook). Questo è evidentemente un grosso argomento a favore dell'impiego delle probabilità per la rappresentazione dei gradi di convinzione.
L'articolo di Simon va in una direzione radicalmente diversa. Simon argomenta che i vari modelli di "ottimizzazione" della teoria economica classica non sono alla portata delle persone reali, con le loro capacità limitate. Un modello (normativo) più accessibile per persone reali in ambienti reali è quello del "satisficing": fissato un livello di aspirazione, l'agente valuta le varie opzioni e sceglie la prima che ecceda quel livello. Nel caso le opzioni soddisfacenti siano troppe o troppo poche, si prendono in considerazione altre alternative o si rivede il livello di aspirazione (ad esempio, al ribasso, se non c'è nemmeno un'opzione soddisfacente e l'agente è poco "persistente"). Abbiamo discusso a lungo l'articolo di Simon, perché in realtà dice ben più di questo!
Siamo passati poi agli esperimenti di Kahneman e Tversky, sul comportamento delle persone reali alle prese con scelte fra lotterie (= decisioni rischiose). Gli esperimenti mettono seriamente in dubbio che la teoria classica (à la Savage) possa essere descrittiva del comportamento di persone reali; il modello proposto da Kahneman e Tversky, Prospect Theory, sembrerebbe descrittivamente più efficace. Nel loro modello, gli agenti prima si rappresentano il problema attuando dei significativi "aggiustamenti" preliminari (editing), poi valutano e scelgono la lotteria che massimizza non l'utilità prevista, ma qualcosa che ci si avvicina molto: nel caso più generale, la somma dei valori soggettivi degli esiti, ciascuno pesato per una funzione della probabilità. Con delle particolari assunzioni su come sono fatti la funzione di valore e i "pesi di decisione" rispetto alle probabilità, Kahneman e Tversky rendono conto degli effetti osservati negli esperimenti.
Prospect Theory sembra quindi un modello descrittivamente efficace; tuttavia, non può avere valore normativo, perché predice delle preferenze inaccettabili (ad esempio, preferenze che violano l'invarianza per equivalenza logica).
Un'idea che, secondo me, sorge abbastanza spontaneamente, è se il "satisficing" di Simon non possa essere integrato con alcuni degli effetti rilevati da Prospect Theory. Penso all'effetto della certezza: se voglio comprarmi una macchina, mi sembra descrittivamente e normativamente accettabile scegliere la prima lotteria che garantisca una vincita sicura > 20.000 euro, anche se in ballo c'è anche una vincita di 500 miliardi al 10% di probabilità. Magari fisso un livello di aspirazione sulle vincite, e poi valuto le lotterie in ordine descrescente di probabilità della vincita maggiore (evidentemente sto "massimizzando").
Infine, mercoledì Silvia ha iniziato a presentarci due articoli di Sen, che spostano l'attenzione su problemi abbastanza diversi. Anzitutto, si tratta di problemi di scelta, e non di problemi di decisione: in un certo senso gli articoli indagano un livello "preliminare" rispetto a quello su cui ci siamo mossi finora. Ad esempio, finora abbiamo immaginato che gli agenti avessero delle preferenze complete e transitive sugli esiti delle loro azioni (o delle lotterie); questa è stata la base (ordinale) per costruire l'utilità (cardinale). Ci siamo concentrati, in qualche modo, su ciò che l'agente fa o deve fare, quand'è indeciso su quale di quegli esiti gli capiterà (e cerca di ottenere l'esito che preferisce!). Ma se facciamo un passo indietro, scopriamo che anche l'idea che l'agente abbia in partenza delle preferenze ordinate è problematica. Invece che pensare a relazioni di preferenza, pensiamo a funzioni di scelta: vediamo che cosa un agente sceglie su un insieme di alternative. Sen mette in evidenza dei fenomeni inaspettati, incompatibili con la teoria classica della scelta razionale. Mercoledì abbiamo iniziato, e la volta prossima continueremo, a cercare di rendere ragione di questi fenomeni.

mercoledì 10 marzo 2010

Gli esperimenti di KT

Abbiamo visto che tanto la critica, quanto la proposta di KT si basano su certi esperimenti da loro compiuti. Il tipo di esperimenti mi sembra importante. Il problema è: come si può controllare il comportamento decisionale degli agenti reali in condizioni di rischio?
Per "collaudare" sperimentalmente il modello classico, una prima idea potrebbe essere confrontare le previsioni classiche (= massimizzazione dell'utilità prevista) con dati reali sui comportamenti economici (e.g., dati di mercato). Si può fare? Sì e no. Al livello di precisione che noi desidereremmo, senz'altro no:

  1. i dati di mercato riguardano semmai casi di decisione in condizioni di incertezza, non di rischio (= le distribuzioni di probabilità sono ignote);
  2. l'incertezza è difficile da trattare; in particolare, è difficile valutare se il comportamento di un agente economico massimizza l'utilità prevista nel senso di Savage (perché per "estrapolare" le probabilità, in quanto gradi di convinzione, dalle decisioni di un agente, usiamo proprio elementi di quella teoria che vorremmo mettere alla prova);
  3. i dati di mercato sono "rumorosi"!

KT procedono allora a un tipo di esperimento molto diverso, simile a quelli usati talora in psicologia. E' un esperimento "di laboratorio": un campione ristretto (sempre meno di 95 persone) è sottoposto a dei questionari con problemi di decisione ipotetici. Il campione è composto di studenti e staff dell'università; i problemi proposti consistono nella scelta fra lotterie con esiti monetari e probabilità numeriche indicate.
L'uso di esiti monetari, naturalmente, serve a garantire qualcosa sulle valutazioni degli esiti: accettiamo senza difficoltà che chiunque preferisca 3000 euro a 10 euro. L'uso di probabilità numeriche, invece, può essere discutibile, come abbiamo visto la volta scorsa. Non è affatto detto che le probabilità segnalate in un questionario siano percepite come "gradi di convinzione", nel momento della decisione: ma se non lo sono, allora cade in parte la pretesa di catturare dati sul comportamento "reale" delle persone. (Forse basterebbe porre le probabilità come "uscita del tre su un dado a sei facce", o simili?)

Un'altra osservazione che avevamo fatto a suo tempo: perché gli esperimenti supportino completamente le idee di KT, occorre un'assunzione forte di omogeneità delle preferenze nei vari campioni. Cioè: se ricordate, alcuni problemi erano presentati in forma "sdoppiata" allo stesso campione, e ciò metteva evidentemente in luce delle incoerenze tra le preferenze, interpretate classicamente. Bene. Altre volte, però, i due problemi erano presentati a campioni diversi, e KT traevano le stesse conclusioni, per il fatto che la maggioranza dei rispondenti del primo campione e la maggioranza dei rispondenti del secondo campione mostravano preferenze di un certo tipo. Questo va bene se si assume che, comunque preso il campione, le preferenze manifestate dalla maggioranza siano quelle della "persona media" il cui comportamento vogliamo descrivere, e che le incoerenze tra le preferenze di maggioranze diverse riflettano incoerenze individuali. (E così, per giunta, non trasciniamo anche sugli individui le incoerenze delle preferenze aggregate?)

giovedì 4 marzo 2010

Prospect Theory: Il modello

Grazie (ancora!) ad Andrea per la sua illuminante presentazione della seconda parte di Prospect Theory. L'esposizione ha giustamente enfatizzato gli elementi che contraddistinguono l'aspetto "innovativo" di Prospect Theory rispetto al modello classico. Kahneman e Tverski (KT) propongono un modello di decisione che prevede due fasi fondamentali. Nella prima l'individuo costruise una rappresentazione personale del particolare problema di decisione, mentre nella seconda si proceda alla valutazione delle alternative. Dal punto di vista concettuale, la novità più rilevante riguarda la fase di editing del problema, di cui KT rendono conto, soprattutto a livello qualitativo. La fase di valutazione, invece, ricalca in modo sostanziale il paradigma di massimizzazione classico, a meno di sostiutuire l'utilità assoluta con una funzione di valore  (relativo alla "ricchezza" attuale del decisore) e di  attibuire determinati pesi alle probabilità delle lotterie rilevanti. 


La discussione ha messo in evidenza le questioni fondazionali riguardanti lo status epistemologico di Prospect Theory. 


In primo luogo risulta piuttosto chiaro il fatto che KT (e la letteratura successiva) non considerano la teoria in competizione rispetto alla teoria normativa classica. Anzi, la loro teoria descrittiva della decisione in condizioni di rischio, è progettata in modo da aderire il più possibile al paradigma della massimizzazione dell'utilità prevista.  In questo senso, quindi non coglie la proposta di Simon di sostituire il criterio di massimizzazione con uno (appropriato) di soddisfazione.

Se la sostituzione delle funzioni di utilità con quelle di valore non appare particolarmente problematica (dal punto di vista fondazionale, almeno),  i pesi che Prospect Theory prevede per le probabilità rimangono epistemologicamente oscuri. KT insistono sul fatto che non debbano essere prese per probabilità e abbiamo visto che nemmeno possiamo considerarle generalizzazioni "note" (come per esempio misure sub/super additive).

Tutti i bias  di cui  Prospect Theory cerca di rendere conto riguardano distribuzioni note di probabilità, o come si usa dire (da von Neumann-Morgerstern in poi) lotterie. Questa caratteristica fa di Prospect Theory un modello di decisioni in condizioni di rischio.  Un passo nella direzione della decisione in condizioni di incertezza è annunciato in Cumulative Prospect Theory, di cui sentiremo presto parlare!